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MA LA SCUOLA NON E' UN iPAD

Posted by Daniela (daniela) on Aug 05 2013 at 6:48 AM
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di Paolo Di Stefano

Contro il colonialismo digitale è un bel titolo (5). Anche il sottotitolo non è male: "Istruzioni per continuare a leggere". Ma il libro di Roberto Casati, pubblicato da Laterza, merita un 5 1/2. Il computer, sostiene Casati, che è filosofo e scienziato cognitivo, ha eroso il tempo della lettura di libri. "Senza quasi accorgercene ci siamo messi a leggere sullo schermo e poi a fare ricerche bibliografiche, a telefonare, a fare esercizi ginnici con la Wii, a giocare, a compilare formulari, acquistare, "taggare", compilare playlist, insomma a delegare tutte le attività in cui viene elaborata l'informazione, ed alcune altre, a un'interfaccia fatta di pixel lucenti". A parte il fatto che verbi come "taggare", "postare" "linkare", "loggare", "bannare" e simili fanno venire i brividi, si tratta di capire se leggere un libro oggi significa competere con i pixel o aderire alla nuova veste digitale. Insomma "compixelare" o no? Fino a oggi, un libro presenta vantaggi indubbi rispetto all'ebook: se cade non succede nulla, per sfogliarlo non c'è bisogno di accenderlo, non si scarica a metà del primo capitolo, non necessita di manutenzione, non invecchia sul piano tecnologico (esiste da secoli più o meno immutato, mentre gli strumenti digitali cambiano quasi ogni settimana), si può regalare facendo bella figura (non è carino regalare a un amico per il suo compleanno una mail con dentro, allegato, un pdf). Il libro di carta, ricorda Casati, "è un ottimo oggetto di scambio sociale, è molto regalato e come regalo ha una vita illimitata": è insostituibile. Ma a parte l'insostituibilità dell'oggetto, resta la questione della lettura. Si poteva sperare che, perduta (almeno in parte) l'abitudine alla carta, con il digitale si aprissero orizzonti inediti per la lettura di testi in un formato nuovo. Purtroppo le cose vanno diversamente: la lettura persa con il tramonto del libro non viene recuperata con i supporti tecnologici. "L'ambiente digitale - scrive Casati - è diventato inospitale per la lettura dei libri". (Si direbbe che il mondo in generale è diventato inospitale per i libri-libri). Ma è sempre utile adattarsi al nuovo ambiente, oppure ci sono casi in cui è consigliabile resistere? E in che modo? Infine, il tema cruciale: la scuola e l'educazione come possono interpretare al meglio il nuovo ecosistema? Le possibili risposte richiedono una nuova domanda: si legge meglio su carta o su tablet? Sembrerà  assurdo, ma non ci sono studi attendibili sull'argomento (come non si conoscono i danni neurologici da telefono cellulare!). Detto ciò, se leggere significa isolarsi per approfondire, allora è chiaro che i nuovi gadget non sono l'ideale, essendo troppo carichi di applicazioni che deviano l'attenzione altrove. Se invece leggere significa saltabeccare da un testo all'altro o preparare dei copia-incolla, allora per il libro di carta non c'è scampo. Però ci sono testi, come quelli di saggistica, il cui studio richiede una particolare concentrazione in solitudine che metta a frutto la memoria: la memorizzazione è aiutata più dai "trattamenti" tradizionali del libro (con sottolineature, appunti a margine, copiature o sintesi a mano) che dal copia-incolla e dalla tentazione centrifuga favorita dal computer o dall'iPad. Se la lettura non tollera semplificazioni, poiché "leggere non è soltanto questione di chi arriva per primo in fondo alla pagina", il libro è cognitivamente più severo ed esigente del tablet, e offre vantaggi che spesso vengono scambiati per limiti: è lineare e non ipertestuale, presenta informazioni una-pagina-alla-volta, non dà informazioni all'editore sulle nostre abitudini di lettura (mentre la navigazione online si presta allo spionaggio). Come si sarà capito, il saggio di Casati apre interrogativi importanti non solo sul futuro del libro, ma sul futuro dell'apprendimento e della cultura. Per esempio: è giusto, utile, inevitabile introdurre a scuola l'ebook? Non voglio dilungarmi troppo e arrivo alla morale della favola. Si rimprovera alla scuola di non essere al passo con la tecnologia. Un paio di obiezioni: 1) la missione della scuola non è essere alla moda o rincorrere le novità, ma istruire; 2) anche se lo fosse, sarebbe impossibile essere aggiornati costantemente con una tecnologia che cambia ogni settimana. Dunque? L'insegnante non deve competere con uno smartphone: il dato educativo non ha niente a che fare con quello informativo tipico dei gadget digitali, anche se gli studenti (e persino i genitori) tendono a giudicare il livello dell'istruzione in rapporto alla "modernità" dei suoi strumenti. E certi ministri pensano di migliorare la scuola apportandovi il più possibile novità tecnologiche, magari senza preoccuparsi del livello di preparazione e di aggiornamento degli insegnanti. Per decenni la società ha fatto uso della televisione, senza che questa sia mai stata "adottata" a scuola (se non occasionalmente). Conclusione provvisoria: la scuola non è un luogo in cui acquisire informazioni, perché queste sono disponibili ovunque: anzi, la scuola potrebbe creare "zone di tranquillità da cui guardare allo sviluppo della società". La scuola fornisce qualcosa che il web non potrà mai dare, ovvero educare a un punto di vista critico sull'informazione e sul mondo.

                                                                                        Da "Azione" dell'8 luglio 2013

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