Veloscritture

CHIOCCIOLE, SCIMMIE E... PROBOSCIDI

"Cosa c'è in un nome? Ciò che chiamiamo rosa anche con un altro nome conserva sempre il suo profumo", sospira Giulietta a Romeo nel celebre dramma di William Shakespeare. Possiamo chiedercelo anche noi, sia pure su un piano molto più modesto naturalmente, osservando il segno grafico, simbolo universale delle comunicazioni online: @. Da dove derivi non è proprio chiaro. Forse un'abbreviazione utilizzata dai monaci che copiavano i testi latini per indicare "ad" ("verso, in direzione di") o il simbolo usato dai mercanti spagnoli e portoghesi come misura di peso e di capacità chiamato "arroba", dall'arabo "ar-roub" (un quarto). Il simbolo passò nella lingua commerciale inglese per indicare "al prezzo di" e venne riportato nelle tastiere delle macchine per scrivere, a fianco del dollaro ($) e della sterlina (£). Nel 1972 Ray Tomlinson, un ingegnere che lavorava al progetto ARPANET e che aveva sviluppato il primo sistema di posta elettronica, adottò il simbolo negli indirizzi email, destinandolo così a una diffusione planetaria. Già, ma qual è il nome di @? In inglese viene pronunciato "at", nel significato di "presso": un certo nominativo "presso" un certo fornitore di servizi internet. Ma perché in italiano lo stesso segno si chiama "chiocciola" o "chiocciolina"? I francesi complicano le cose chiamandolo "arobase" o "arobas": una derivazione del termine spagnolo "arroba" o una modifica del termine tipografico "a rond bas" (lettera "a" rotonda minuscola)? Ai tedeschi la @ ricorda invece la scimmia: Klammeraffe (scimmia-ragno) o Affenschwanz (coda di scimmia). L'animale evidentemente piace in molti Paesi, dal momento che il termine, con o senza coda, si usa anche in bulgaro, fiammingo, rumeno, polacco e serbo. Gli estoni e i finlandesi amano la coda, ma di gatto. Quello che per i russi e per gli ucraini è il cane, diventa un'aringa arrotolata in ceco, un vermicello in ungherese, un piccolo papero in greco e, con insospettabile grandiosità, una proboscide di elefante nelle lingue scandinave.

                                                                             ( Da Extra, Corriere del Ticino n. 46 - 16/23 novembre 2012) 

 L'italiano e le regole dimenticate  (di Michele A. Cortellazzo)

Recentemente sono apparse sulla stampa notizie allarmanti sulla debolezza delle competenze linguistiche nella lingua materna persino degli studenti che si iscrivono alle facoltà di lettere. La legge da quest'anno obbliga le facoltà a verificare il possesso da parte degli immatricolati dei requisiti di base, stabiliti dagli stessi istituti. Molte università hanno deciso di svolgere questa verifica attraverso un test di accertamento iniziale e così, per la prima volta, abbiamo dei dati precisi sulle conoscenze e le abilità possedute dai ragazzi che escono dalle scuole superiori. Il quadro appare sconfortante: nella Facoltà di lettere di Venezia, su 830 matricole che hanno affrontato l'esame d'accesso, è risultato insufficiente in lingua italiana il 44%; nella facoltà di Padova, su 1775 iscritti al test a risultare insufficienti, in vari settori, è stato il 54% e molti di questi proprio nel campo delle abilità di comprensione del lessico e dei testi. Per esempio dei 163 aspiranti filosofi, il 32,4% ha dimostrato carenze proprio in questo settore; e se "solo" il 30% di tutti gli studenti non è stato in grado di indicare il giusto sinonimo di "dilapidare" tra quelli proposti, il 57% non sa cosa si intenda per "questione di lana caprina". Il 54% si è perso davanti all'aggettivo "maliardo". A Venezia i limiti si sono verificati nell'ortografia (confusione tra "dà" e "da", mancanza di doppie, mancanza o sovrabbondanza di apostrofi, nella coniugazione dei verbi, nel riconoscimento degli elementi della frase). Sia a Venezia, sia a Padova, i risultati peggiori hanno riguardato, però, la comprensione dei testi. In realtà, quanto è emerso dai test merita un'attenzione maggiore. Le lacune evidenziate sono di natura e di importanza ben diverse. Io non mi straccerei le vesti sulle carenze ortografiche, che forse fanno intravedere un processo di ristrutturazione delle convenzioni grafiche. È vero, infatti, che l'ortografia è il settore dell'italiano attualmente più stabile; ma è sempre possibile che si producano delle regolarizzazioni forzate (per es. la generalizzazione dell'accento nei monosillabi: "stà", "fà" pò). Anche la grafia può cambiare nel tempo: l'attuale forma del plurale dei nomi in "-io", con una sola "i" ("principi", "studi" ecc.) è relativamente recente, contro la più tradizionale scrittura con la doppia "i". ("principii", "studii") o con la "i" con l'accento circonflesso ("principî", "studî"). E, comunque, gli errori di ortografia riguardano la parte più superficiale della lingua, anche se spesso non sono altro che la punta di un iceberg costituito da ben più profonde lacune linguistiche. Altra cosa sono gli errori di riconoscimento degli elementi della frase (per es. l'incapacità di individuare il soggetto). Questi limiti chiamano in causa il curriculum scolastico, con la sostanziale scomparsa, nelle scuole italiane, di lezioni di riflessione della lingua dopo la terza media (viene il sospetto che un alunno di quinta elementare, fresco di insegnamento grammaticale, riuscirebbe a rispondere meglio di un immatricolato all'università). Veramente preoccupanti sono, invece, le carenze nella comprensione dei testi e nel dominio della ricchezza lessicale dell'italiano, perché riguardano uno strumento di base (la lettura dei testi), che dovrebbe essere pacificamente posseduto da quanti si iscrivono all'università. Risultano, invece, fortemente manchevoli anche negli studenti che hanno scelto per il loro futuro le discipline letterarie e filosofiche. Non oso immaginare quanto limitate siano le competenze di chi si iscrive, per dire, a Ingegneria, Economia, Agraria. Si concentra qui il dubbio più lancinante: quale classe dirigente si può formare nelle università, se le capacità di comprendere un testo sono così scarse in chi mira a far parte di quella classe?

 

                                                         Dal "Corriere del Ticino" del 23 marzo 2009

 

 Questa è proprio una curiosità

Decifrati i segreti della memoria delle api

L'antennina di destra si occupa della memoria a breve termine, quella di sinistra dei ricordi consolidati

Questa divisione dei compiti tra memoria a breve termine e memoria a lungo termine è dimostrata da una ricerca pubblicata sulla rivista PLoS One da Giorgio Vallortigara del Centro Mente/Cervello dell'Università di Trento.

La ricerca svela che anche il "cervello" delle api (e forse anche quello di altri insetti, quindi) ha asimmetria di funzioni come quello umano dotato di due emisferi che fanno cose differenti. Le antennine sono il "naso" delle api che hanno un olfatto finissimo. Ma sono anche lo "scalpello" con cui l'insetto incide nel suo "cervello" la memoria degli odori che incontra. Infatti l'ape, quando sente un odore che ha in memoria e che ricollega a qualcosa di buono, apre la "bocca" aspettandosi la "pappa", anche se non c'è niente da mangiare che l'aspetta. Gli scienziati hanno "addestrato" le api a collegare il profumo di limone alla pappa, una gocciolina di acqua zuccherata, poi hanno studiato la funzione delle due antennine, facendone funzionare una alla volta (chiudendo l'altra temporaneamente). Così hanno visto che, quando è la sinistra ad essere "spenta", l'ape mantiene solo per un'ora la memoria dell'aroma di limone e dopo 24 ore non riesce più ad associare quell'odore allo zucchero. Viceversa, quando è la sinistra a funzionare, il profumo stimola il ricordo della pappa solo a 24 ore dall'apprendimento di quell'informazione. Quindi l'antenna destra è custode dei ricordi di breve durata, mentre quella sinistra attinge al magazzino dei ricordi consolidati che rimangono a lungo termine.

 

 Usare INTERNET ha anche un costo per l'ambiente

Per noi è un gesto ormai meccanico, ci serve un'informazione, inseriamo una parola chiave e diamo "invio", e Google risponde ai nostri quesiti dandoci in pochissimo tempo migliaia di voci possibili; ma tutto ciò ha un costo per l'ambiente. Due ricerche producono tante emissioni quante quelle prodotte dal consumo di corrente di un bollitore elettrico per il tè, ovvero 7 grammi di CO2 a ricerca. È quanto stimato da Alex Wissner-Gross, fisico della Harvard University di Boston. Vi sembrerà poco, ma se pensiamo che per ogni secondo che siamo connessi a Internet, produciamo 0,02 grammi di emissioni, si legge sulla BBC online, ciascun navigatore è un "inquinatore". Infatti si stima che ogni giorno vengano fatte qualcosa come 200 milioni di  ricerche in Internet. Un recente studio ha stimato che l'intero settore informatico, globalmente, è responsabile di un quantitativo di emissioni di gas serra pari a quello di tutte le linee aeree mondiali messe insieme.

                                                                                                                                                                                                                          Dal Corriere del Ticino del 13.01.09

Dammi la tua e-mail e so chi sei

Punti, cifre e nickname rivelano caratteristiche personali

La ricerca del dipartimento di psicologia dell'università di Lipsia mostra che gli indirizzi di posta elettronica contengono indizi sulla personalità dei loro proprietari.

Fantasioso o rigoroso, narciso o pignolo, l'indirizzo di posta elettronica racconta come siamo. La regola del "nomen omen" vale anche per il domicilio virtuale. Lo ha stabilito la psicologa MITJA BACK insieme a un gruppo di ricercatori dell'università di Lipsia, che ha preso in considerazione 599 mail di giovani adulti e il relativo giudizio di 100 osservatori indipendenti. Dalla ricerca, apparsa sul "Journal of research in personality" e disponibile sul sito di ScienceDirect, è emerso che gli indirizzi sono dei piccoli messaggi che le persone si scambiano riguardo al loro carattere. Aspetti utili agli osservatori per stabilire alcuni tratti distintivi della personalità dei mittenti sono la presenza di segni grafici come punti, linee, cifre, tipo e numero di caratteri, ma anche la scelta del provider (yahoo o hotmail), il nickname (proprio o di fantasia) e il dominio (ch. com o net). A un nome di fantasia è spesso associata una personalità creativa, sagace, divertente, ma anche confusionaria. Il numero di caratteri e di punti contenuti nell'indirizzo servono invece a rivelare alcune specificità caratteriali del mittente come la meticolosità, le capacità organizzative e la cura dell'aspetto. Chi ha un provider hotmail risulta più aperto e narcisista di chi ne ha uno yahoo. Chi è organizzato e pratico ha indirizzi e-mail meno buffi e un dominio nazionale (.ch, al posto di .com o .net). Anche gli stereotipi sul genere condizionano le opinioni dei destinatari: le e-mail femminili suonano sempre più gentili e accomodanti.

Il celebre "SOS" fu inventato un secolo fa

Segnale ormai obsoleto nell'epoca dei telefoni cellulari, salvò molte vite

Il segnale - andato in pensione alla fine del ventesimo secolo - fu adottato perché era nel linguaggio Morse il più semplice, il più breve e il più chiaro possibile.

È ormai obsoleto nell'epoca dei telefoni satellitari, ma si merita lo stesso un festeggiamento alla grande per il salvataggio di migliaia e migliaia di vite in mare: l'SOS ha compiuto cent'anni, essendo entrato in funzione come segnale internazionale di richiesta d'aiuto per le navi il 1. luglio 1908. Scelto perché di una semplicità estrema nel codice telegrafico Morse (tre punti, tre linee, tre punti), l'SOS contribuì già a strappare dalla morte centinaia di vite umane quando, il 10 giugno del 1909, fu lanciato per la prima volta in assoluto dal transatlantico Slavonia naufragato al largo delle Azzorre. Ma si installò nell'immaginario popolare a partire dalla più famosa tragedia marittima di tutti i tempi, quella del Titanic nell'aprile del 1912. Leggenda vuole che mentre l'inaffondabile Titanic affondava dopo l'urto con un iceberg, il radioperatore HAROLD BRIDE abbia detto al collega JACK PHILLIPS che aveva appena trasmesso il vecchio codice di salvataggio "Cqd": "Manda l'SOS; è il nuovo segnale e questa può essere la nostra ultima possibilità di inviarlo". Molte navi nei paraggi non dettero però peso né al Cqd, né all'SOS, condannando così a morte sicura centinaia di passeggeri e marinai del Titanic e l'amara lezione fu presto imparata: da allora in poi non c'è stata più praticamente nave che non si sia mobilitata in risposta agli SOS ricevuti. Al centro di una miriade di racconti di mare, l'SOS - proposto dai tedeschi nel 1906 a Berlino nel corso di una convenzione radiotelegrafica internazionale - è diventato con il passare dei decenni una delle parole più universalmente usate nelle più disparate lingue del pianeta grazie al cinema e figura addirittura in canzoni degli ABBA e dei POLICE. Leggenda vuole che "SOS" sia un acronimo per le parole in inglese "SAWE OUR SOULS" (salvate le nostre vite). Il segnale - praticamente andato in pensione alla fine del ventesimo secolo quando l'Organizzazione Marittima Internazonale optò per più sofisticati sistemi di allerta satellitare - fu adottato soltanto perché era nel linguaggio Morse il più semplice, il più breve e il più chiaro possibile.

Lo sapevate?

A detta di un'arzilla signora italiana (agli inizi del mese di luglio compirà 100 anni) il segreto della sua longevità sta nel fatto d'aver dattilografato tutta una vita.

La simpaticissima signora, ospite della trasmissione del secondo canale  della RAI "Mattina in famiglia", nella sua vita oltre che dattilografare ha sempre viaggiato molto. Il prossimo viaggio che effettuerà ha come traguardo la bellissima città sulla Moldava, Praga, meta dell'estate scorsa di moltissimi congressisti dell'Intersteno. Generalmente viaggia sola. La signora in questione organizza sempre ancora viaggi per le persone anziane, e per essere presente alla trasmissione odierna (12 aprile 2008) ha utilizzato l'aereo.

Alla domanda finale, quale sogno ha nel cassetto, ha risposto:

- Volare con il deltaplano.- Chi non rimane basito dopo una simile affermazione? Il presentatore ha lanciato un appello ai telespettatori che praticano questo passatempo a volersi annunciare alla RAI, affinché il desiderio della signora venga esaudito.

Tra pochi giorni inizieranno le gare di scrittura all'elaboratore: leggendo ciò la Veloscritture ritiene che coloro che non si sono iscritti dovranno pure avere un ripensamento. Se dattilografare è così salutare e fa bene alla mente, perché non lanciarci tutti (e qui c'è il vantaggio che i piedi sono per terra...) in un'impresa così entusiasmante?

 

E se domani scomparisse la storia?

L'ignoranza di questa disciplina è sotto gli occhi di tutti: occorre tutelarla

Sapere da dove si viene

Un grande storico come Johan Huizinga non aveva dubbi al proposito: la storia, ha scritto una volta, non è "soltanto un ramo del sapere, ma anche una forma intellettuale per comprendere il mondo". Restituire ai giovani il senso del passato, della sua dimensione temporale e spaziale, del suo lento divenire, renderli consapevoli della ricchezza e della varietà delle culture, dare uno spazio adeguato alle molteplici esperienze storiche, è un momento essenziale della loro formazione, ed è un compito che spetta, in primo luogo, alla scuola. È al suo interno che diventa possibile coordinare i diversi saperi e trasmettere l'idea che le domande che ci poniamo oggi, sulla nostra società e sul nostro futuro, possono trovare una risposta esauriente solo se sappiamo da dove veniamo.

Ma se è vero che la scuola ha un compito insostituibile, è anche vero che una responsabilità altrettanto grande ricade sulla società che è la vera depositaria della memoria che ci viene da lontano e la custode di quella che sarà trasmessa al futuro. Oggi si sta manifestando, a questo riguardo, un'altra insidia che mette in pericolo le testimonianze del nostro tempo. La massa di informazioni che vengono prodotte ogni giorno può essere conservata soltanto se ricorriamo alla loro digitalizzazione. Se ci affidassimo, come hanno fatto i nostri predecessori, alla carta, saremmo sommersi da montagne di documenti che risulterebbero di fatto inutilizzabili. Chi ha visitato gli archivi di industrie, banche, istituzioni pubbliche o società di servizi, ha potuto toccare con mano questa realtà. 

Della tecnica digitale abbiamo imparato ad apprezzare tutti gli aspetti positivi: essa ci consente di risparmiare una enorme quantità di spazio riducendo al minimo i costi di conservazione e ci permette di rintracciare le informazioni che ci servono con grande rapidità. Sembra tuttavia che non siano stati valutati con sufficiente attenzione i rischi ai quali andiamo incontro a causa della frequente sostituzione del software e, soprattutto, della fragilità dei supporti sui quali vengono archiviate le informazioni.

Tempi troppo veloci

Molti di noi hanno potuto sperimentare nel recente passato la difficoltà di leggere un testo composto pochi mesi prima, in quanto il programma di scrittura utilizzato era scomparso dalla circolazione sostituito da un altro più efficiente. Oggi questi cambiamenti sono meno ravvicinati: il rischio si è perciò attenuato e tenderà probabilmente a scomparire. Il pericolo maggiore sta invece nella breve durata dei supporti sui quali vengono registrati informazioni, testi, appunti, immagini, tabelle statistiche, risultati di analisi cliniche o musica, che talvolta può limitarsi addirittura ad un paio d'anni. Un lasso di tempo che può rispondere alle esigenze individuali, ma che è drammaticamente breve per un istituto di ricerca, per una clinica o, ancor più, per un archivio storico.

Frank Laloe, direttore di ricerca presso il Cnrs francese (un fisico, si badi bene, non uno storico), ha lanciato dalle pagine di Le Monde un accorato appello alle autorità del suo paese perché affrontino senza indugio il problema. La conservazione della memoria del nostro tempo, ha osservato, non può essere affidata all'iniziativa privata e ancor meno al mercato che non ha alcun interesse a produrre supporti di lunga durata per i quali esiste una domanda troppo limitata. Si potrebbe ricorrere ad un sistema alternativo: ritrascrivere frequentemente i documenti su un nuovo supporto affrontando però costi elevati e correndo il rischio di non arrivare in tempo ad evitare la distruzione dei dati. Si tratterebbe, in ogni caso, di una soluzione transitoria in attesa che venga messo a punto un sistema più sicuro.

Ci troviamo in presenza, osserva ancora Laloe, di una situazione paradossale. Le fragili tavolette di argilla sulle quali veniva incisa la scrittura cuneiforme, papiri dell'antico Egitto o le pergamene medioevali sono passate indenni attraverso i secoli, mentre noi non siamo in grado di risolvere, nonostante la nostra ricchezza e la nostra tecnologia, un problema abbastanza semplice.

 

Cose inutili?

A ben vedere le ragioni non sono di natura tecnica od economica, bensì culturale. La società dei consumi è ancorata al presente, all'effimero, alle cose che hanno un senso e un valore oggi, ma che non lo avranno più domani. Perché, allora, investire tempo e denaro nella conservazione di cose inutili? In questi frangenti diventa un compito prioritario delle istituzioni pubbliche tutelare la memoria di una comunità accollandosi i costi (che non sono, peraltro, proibitivi) evitando così che si perda la traccia della propria identità e della propria storia. Ci si preoccupa, a giusta ragione, della tutela della biodiversità. Ma che senso ha proteggere la varietà delle piante e degli animali, se non ci curiamo di conservare la nostra storia che è immensamente più ricca? È una domanda che potremmo aggiungere alle curiosità del bambino che chiedeva candidamente "a che serve la storia?". La risposta la conosciamo; abbiamo, invece, molti dubbi sull'esistenza della sensibilità necessaria per passare dalle parole ai fatti.

 

                         Dal Corriere del Ticino a firma Giovanni Vigo

     

Più intelligenti con il computer?

                                                      "One Laptop per Child". E' il progetto mondiale portato avanti da Nicholas Negroponte, guru dell'informatica ed ex presidente del prestigioso Media Lab del MIT (Massachussets Institute of Technology). Un portatile per ogni bimbo è l'obiettivo di questo progetto che prevede, entro il 2010, di fornire ad ogni bambino del mondo, soprattutto a quello più "debole" e meno informatizzato, un computer che costi non più di 100 dollari. Un computer semplice ma essenziale in grado di collegarsi con Internet e quindi di accedere a tutte le potenzialità messe in Rete. Inoltre le batterie di questo "giocattolino" potranno essere ricaricate attraverso l'uso di una manovella, quindi non sarà necessario ricorrere ad un attacco alla corrente elettrica. Anche nel più sperduto villaggio africano sarà possibile entrare in contatto con il Mondo e con la cultura veicolata dall'informatica. Sarà un passo avanti nella modernizzazione di aree arrretrate, permetterà una libera "alfabetizzazione" di base? Gli aspetti positivi sono tanti, anche se non possiamo nascondere il pericolo di una omologazione planetaria. Tutti penseranno allo stesso modo, tutti leggeranno gli stessi testi, avranno le stesse idee, vedranno le stesse immagini? Si ripropone il problema legato alla formazione del sapere, della coscienza di sé e anche delle emozioni attraverso uno strumento che, in un certo senso, sostituisce l'esperienza vera, il Mondo vero. Anche noi rischiamo l'omologazione. O ne siamo già contaminati? Comunque, "One Laptop per Child" è pur sempre una buona iniziativa, anche se, come tutte le innovazioni tecniche e il relativo business, possono avere conseguenze positive o negative. E a questo proposito, il Dipartimento americano dell'educazione, dopo un ampio e approfondito studio, ci offre un'informazione che potrebbe sconcertare. L'indagine ha rivelato che non c'è differenza nel profitto scolastico medio fra gli studenti che usano un computer personale a scuola e quelli che non ce l'hanno. I "computerizzati" tendono ad impegnarsi di meno, scaricano da Internet, digitano invece di pensare, trovano insomma la pappa già pronta. La conclusione è che affrontano la conoscenza e lo sviluppo delle facoltà intellettive e mentali in modo passivo. Alcuni distretti scolastici americani hanno deciso di limitare progressivamente l'uso del computer personale e di ritornare al vecchio e unico computer di classe. Certo, il computer è ormai irreversibile, è uno dei pilastri delle nostre moderne società. Però i suoi tasti, la sua fulminante velocità che ci mette in comunicazione con tutto lo scibile, pensiamo solo al motore di ricerca Google, sono una lama a doppio taglio. Tempo fa si diceva, "attenti al Grande Fratello", che spia ogni nostra mossa. Oggi il Grande Fratello si è trasformato in una mamma eccessivamente sollecita e protettiva che ci aiuta, o ci impone a camminare su una "facilissima" strada digitale.

 

Riparazioni online fai da te

 Il portale dell'assistenza tecnica

Basta proporre il proprio problema relativo a un qualsiasi prodotto elettronico per trovare spiegazioni dettagliate e soluzioni che fanno al caso proprio. Si tratta di una sorta di portale di assistenza tecnica con consigli preziosi che vanno ben al di là di quanto riportato dai manuali allegati ai vari gadget.

http://www.fixya.com/

 

 Riparare è un po' come riciclare

Questo sito offre soluzioni affidabili per la riparazione di tutti i computer e dei componenti elettronici. Si può trovare un database con oltre 110 mila diverse risposte a tutte le problematiche, grazie all'aiuto dei newsgroup che offrono la loro competenza nei diversi settori dell'elettronica, dai computer ai monitor, dalle tv ai satelliti, dalle videocamere alle webcam.

http://www.repairworld.com/
 
Le radiazioni dei cellulari disturbano il riposo notturno

Ancora accuse ai cellulari. Le radiazioni emesse dai telefonini disturberebbero il riposo notturno, soprattutto se si telefona la sera tardi prima di andare a letto. Lo rivela una ricerca condotta da Karolinska Institutet di Stoccolma, secondo cui a maggior rischio sarebbero soprattutto i giovani per l'uso massiccio del cellulare in tarda serata. Alla ricerca, finanziata dalle stesse compagnie telefoniche (che ora commentano non senza imbarazzo i risultati, affermando che non sono definitivi) hanno partecipato 35 uomini e 36 donne dai 18 ai 45 anni. Una parte di loro è stata esposta a radiazioni che simulavano quelle ricevute telefonando con un cellulare, mentre i restanti sono stati posti nelle medesime condizioni sperimentali, ma non è stata erogata loro alcuna radiazione. Ebbene, i primi hanno effettivamente impiegato più tempo a entrare nel primo degli stadi profondi del sonno e hanno trascorso meno tempo nello stadio di sonno più profondo. Questo significa, secondo i ricercatori, che l'esposizione a segnali radio a 884 Mhz influenza negativamente componenti del sonno essenziali per il recupero del cervello.

 

I domini non bastano più, ma per fortuna c'è...ipv6!

Entro il 2011, secondo i calcoli dell'Icann, la massima autorità che governa l'attribuzione degli indirizzi e dei domini sul web, non ci saranno più indirizzi Internet. Oggi, degli oltre 4 miliardi computabili con il sistema attuale, ne rimangono liberi solo il 14%. E' così stato attivato il nuovo sistema di assegnazione, denominato "ipv6", che inizierà ad affiancarsi a quello attuale, l'ipv4, per prenderne completamente il posto nel giro di una quindicina d'anni. Il nuovo sistema metterà a disposizione un numero sorprendentemente alto di indirizzi identificativi, insomma ce ne sarà in abbondanza per tutti.

 

TV sotto accusa

La televisione è al centro di due diversi studi, che hanno analizzato l'influenza di questo apparecchio sul sonno degli adulti e sul carattere aggressivo dei bambini.

La prima ricerca, condotta da studiosi giapponesi dell'Università di Osaka su circa 6 mila volontari, ha evidenziato come la metà del campione metta in relazione la mancanza di sonno alla cattiva abitudine di addormentarsi davanti alla tv. In particolare, restare a lungo davanti allo schermo acceso influenzerebbe non la durata del dormire, ma la ben più importante qualità. Non tutti, infatti, necessitano di numerose ore di sonno per ricaricare l'organismo; quella che conta è, piuttosto, la qualità e la profondità del riposo notturno. Addormentarsi davanti al televisore acceso disturberebbe la capacità di sprofondare nel giusto sonno, compromettendone gli importanti benefici.

La seconda ricerca, condotta da studiosi americani e pubblicata sull'Archives of pediatrics and adolescents medicine journal, riguarda i bambini e la cattiva influenza che troppa televisione ha sulla loro aggressività. Esporre un bimbo al di sotto dei tre anni a ore eccessive davanti allo schermo può provocare, secondo i ricercatori, un pericoloso deficit di attenzione e concorre a sviluppare un conseguente atteggiamento violento. In casi particolari, poi, il pericolo è ancora peggiore: troppe ore davanti alla tv potrebbero favorire lo sviluppo di malattie molto gravi, come l'obesità o addirittura l'autismo.

 
 
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